Il tipo di fibra e di cavo sono quindi fondamentali nel cablaggio degli edifici. Si usa un cavo multifibra composto da una serie di fibre ciascuna protetta singolarmente da un proprio rivestimento. Vediamo i dettagli di una procedura che sarà sempre più comune in Italia nei prossimi mesi

Nella Strategia per la Banda Ultra Larga, il Governo ha fissato gli obiettivi da raggiungere entro il 2020, in accordo con quanto definito dall’Unione Europea nella Digital Agenda for Europe. In particolare, la Strategia intende portare una connettività ad almeno 100 Mbps all’85% della popolazione e una copertura ad almeno 30 Mbps a tutti i cittadini attraverso una serie di strumenti volti a semplificare, agevolare e incentivare gli interventi di infrastrutturazione.

Dal punto di vista più tecnico, l’architettura di riferimento sarà l’FTTH (Fiber To The Home), cioè quella dove la fibra arriverà fin dentro le case degli utenti, mentre non vi è una chiara indicazione su quale sarà la tecnologia da implementare.

La transizione verso le reti di accesso in fibra ottica è già oggi in atto e procede in maniera graduale con soluzioni intermedie in cui la fibra si ferma al Cabinet (FTTC, Fiber To The Cabinet). Queste soluzioni, unite laddove possibile alla tecnica del Vectoring, permettono di ottenere velocità fino a qualche centinaia di Mbps nelle situazioni più favorevoli, ma soprattutto consentono investimenti graduali per avvicinare la fibra verso l’utente. L’ingresso di Open Fiber tuttavia, che propone direttamente soluzioni di tipo FTTB/FTTH, ha stimolato il comparto TLC mettendo gli operatori nella condizione di dover competere con soluzioni che prevedono bande fino ad 1 Gbit/s portando la fibra fino a casa; tale circostanza tende a superare le soluzioni intermedie, specie nelle zone del paese dove vi è più mercato.

Proprio nella realizzazione di reti FTTH, uno degli aspetti più critici è quello del cosiddetto cablaggio verticale, ossia del tratto di rete che dalla base dell’edificio arriva dentro le unità immobiliari. Occorre, in questa situazione, distinguere due casi: edifici di nuova realizzazione e edifici esistenti.

Per gli edifici di nuova realizzazione, la Direttiva comunitaria 61/2014 prevede, nell’ottica di facilitare l’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, che “tutti gli edifici nuovi siano equipaggiati, nella sede dell’utente finale, di un’infrastruttura fisica interna all’edificio predisposta per l’altra velocità fino ai punti terminali di rete”. In Italia la Direttiva 61/2014 è stata recepita nel Decreto Legislativo 33/2016; in particolare, all’art.8 si stabilisce, “il diritto, ed ove richiestone, l’obbligo, di soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso presentate da operatori di rete, secondo termini e condizioni eque e non discriminatorie, anche con riguardo al prezzo”.

Tale articolo fa riferimento ai proprietari di unità immobiliari o condomini le cui domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 1 Luglio 2015 o che siano sottoposti a opere di ristrutturazione profonda, secondo quanto previsto dall’art.135-bis del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (DPR 380/2001), aggiornato dalla Legge 164/2014. Dal punto di vista tecnico, il DPR n.380 del 2001 cita le Guide CEI 306-2 e 64/100/1,2,3 come riferimenti per l’infrastrutturazione degli edifici con impianti di comunicazione elettronica.

Per gli edifici esistenti dove non è presente una infrastruttura interna, sempre il D.Lgs 33/2016 stabilisce che: “in assenza di un’infrastruttura interna all’edificio predisposta per l’alta velocità, gli operatori di rete hanno il diritto di far terminare la propria rete nella sede dell’abbonato, a condizione di aver ottenuto l’accordo dell’abbonato e purché provvedano a ridurre al minimo l’impatto sulla proprietà privata di terzi”.

Appare chiaro come, da un punto di vista tecnico e autorizzativo, la realizzazione dell’infrastruttura interna agli edifici sia più complessa, e al tempo stesso sfidante, nei casi di edifici esistenti, definito solitamente come scenario “Brownfield”. In questo caso, “ridurre al minimo l’impatto sulla proprietà privata di terzi” consiste nell’installare la fibra impattando il meno possibile sulla struttura e sull’estetica dell’edificio e limitando i costi di realizzazione.

Le infrastrutture di telecomunicazioni negli edifici (rete telefonica tradizionale) sono esterne e interne. In quest’ultimo caso, sono spesso costituite da tubi sottotraccia in cui passa la rete in rame, con un diametro di 20 mm per la tratta verticale e 16 mm per quella orizzontale (fonte TIM). E’ evidente quindi come la realizzazione dell’infrastruttura debba tenere conto di una limitata disponibilità di spazio, considerando che la rete in fibra andrà affiancata a quella in rame e dovrà essere disponibile per tutte le unità immobiliari di un edificio. Il tipo di fibra e di cavo sono quindi fondamentali nel cablaggio degli edifici.

Nelle reti FTTH, la rete di accesso si estende fino al cosiddetto ROE (Ripartitore Ottico di Edificio), solitamente posto alla base dell’edificio, che rappresenta il punto di demarcazione tra la rete di accesso e la rete interna all’edificio. Al ROE, infatti, arriva la fibra dell’operatore e si dipartono le fibre ottiche che connettono le unità immobiliari alla rete. Quando la fibra di un operatore arriva all’edificio, si parla di edificio coperto dalla rete FTTH anche se il servizio non è effettivamente disponibile agli utenti.

Per la rete di accesso e il cablaggio verticale si utilizzano solitamente le fibre a singolo modo e tra queste la più utilizzata è quella identificata dalla sigla G.652, secondo gli standard definiti dall’ITU (International Telecommunication Union). Queste fibre sono ottimizzate per l’utilizzo in seconda finestra (lunghezza d’onda 1290-1330 nm) ma possono essere utilizzate anche in terza finestra (1550 nm) e hanno un’attenuazione compresa tra 0,2-0,4 dB/km. Per il cablaggio interno agli edifici, la fibra più adatta è la G.657 grazie alla possibilità di effettuare curvature più strette rispetto alla G.652. Aspetto fondamentale è la totale compatibilità trasmissiva tra queste due tipologie di fibre che dovranno interconnettersi al punto di demarcazione tra la tratta di accesso e quella interna all’edificio.

Per quanto riguarda il cablaggio verticale, i tradizionali cavi ottici non sono idonei all’installazione negli edifici a causa dei vincoli in termini di robustezza, di dimensioni e di flessibilità. Le soluzioni possibili sono due: il cavo multifibra ad estrazione e il cavo singolo.

Il cavo multifibra è composto da una serie di fibre ciascuna protetta singolarmente da un proprio rivestimento. A seconda degli utilizzi, il cavo può contenere un numero diverso di fibre che va da 2 a 96 singoli cavi ottici, tenendo sempre presente che il 97% degli edifici residenziali in Italia ha un numero di unità immobiliari non superiore a 10 (fonte 15° Censimento ISTAT).

Il cavo multifibra viene installato nel tratto di salita dell’edificio e a ogni piano è effettuata la derivazione delle fibre necessarie. La guaina esterna viene aperta con un utensile apposito e viene realizzata una finestra di dimensioni ridotte (circa 3 cm) ma idonea per l’estrazione della fibre. Le fibre estratte vengono attestate alla scatola di derivazione, mentre la finestra aperta sul cavo deve essere protetta con delle protezioni ad hoc di dimensioni ridotte che consentano di gestire semplicemente le estrazioni. L’utente viene generalmente collegato alla rete al momento della richiesta di attivazione del servizio. In questo caso, il servizio è effettivamente disponibile e si parla di utente connesso.

In caso di cablaggio con cavetti singoli, l’utente viene collegato alla rete in fibra alla richiesta di attivazione del servizio; il cavo viene steso tra il ROE alla base dell’edificio e l’unità immobiliare. Questo tipo di soluzione trova solitamente applicazione per edifici con poche unità immobiliari ovvero laddove non vi siano criticità in termini di spazio disponibile.